In Italia c’è un ritardo culturale nell’approccio al digitale. Un ritardo particolarmente evidente per le piccole e medie imprese che costituiscono la stragrande maggioranza delle imprese italiane (in Italia sono 3.7 milioni le PMI Italiane, contro 2.700 grandi imprese con un fatturato superiore ai 50 milioni). Mentre cresce la richiesta di prodotti in vendita online, le aziende per lo più non sono preparate a intercettare i bisogni degli utenti, sia dal punto di vista tecnologico, sia per quanto riguarda l’organizzazione interna nella gestione del marketing, degli ordini, della logistica e dell’amministrazione.
A fronte di questo ritardo nell’uso del canale digitale, le imprese italiane vantano prodotti tra i più ricercati al mondo. Mercati immensi come la Cina, l’India e la Russia, hanno una quantità elevata di e-shoppers alto spendenti, interessati all’acquisto del made in Italy in tutti i settori, dal fashion alla cosmetica, dal food and wine all’arredamento.
La scalata a questi mercati, difficile da attuare con un sito personale, soprattutto se il proprio brand non è tra i più conosciuti, può partire da una presenza significativa sui marketplace, che rappresentano la porta d’accesso principale ai mercati stranieri, e un primo carotaggio per individuare il paese, o i paesi più adatti a recepire il prodotto che si desidera esportare.
Marketing digitale: la Cina è il modello del futuro
Il marketing digitale cambia in base alle consuetudini locali. Se cerchiamo di conquistare un mercato usando i nostri abituali metodi di comunicazione probabilmente abbiamo già sbagliato approccio in partenza. In Europa, ad esempio, i consumatori tedeschi hanno l’abitudine di acquistare un elevato numero di prodotti, rendendo poi quelli che hanno scartato. Il consumatore italiano invece utilizza il reso malvolentieri e preferisce acquistare andando il più possibile sul sicuro.
Il marketing digitale come lo conosciamo (newsletter, adwords, sms) in Italia e in Europa è stato largamente mutuato dagli Stati Uniti. Ma oggi gli USA non rappresentano più l’unico modello di riferimento. L’e-commerce negli USA, anche se continua a crescere, sta cominciando a rallentare, mentre la Cina, in crescita esponenziale, rappresenta oggi per noi la frontiera di maggior interesse.
La comunicazione digitale in Cina si svolge in modo molto diverso. Una delle ragioni è che Facebook, Instagram, Youtube e Google in Cina sono censurati e irraggiungibili, mentre invece tutti hanno un account WeChat, Weibo e guardano il live streaming su Yizhibo.
Le schede prodotto si presentano dettagliatissime, piene di dati tecnici, perché hanno lo scopo di rassicurare l’acquirente che il prodotto non sia contraffatto (strano ma vero, i cinesi sono molto preoccupati di acquistare beni non originali). WeChat è lo strumento che orienta gran parte degli acquisti, molto di più del motore di ricerca, che in Cina non è Google ma Baidu.
Il customer care, che svolge un ruolo fondamentale per il consumatore cinese, avviene proprio sulla chat. Il marketing digitale in Cina passa poi soprattutto dagli influencer, i cosiddetti KOL che si dividono in quattro livelli, a seconda del numero di fan che li seguono sui social media cinesi, che vanno dai migliaia a milioni di fan, a seconda della loro fama.
La differenza tra gli influencer cinesi e quelli occidentali è costituita dalla percentuale sulle vendite che guadagnano a ogni acquisto perfezionato. I post vengono tracciati e misurati e, tranne le superstar, tutti gli altri lavorano a performance, fatto salva una parte fissa di compenso.
Questo perché i social media in Cina sono un pezzo fondamentale del customer journey, decisivi per orientare il consumatore in una babele di prodotti e brand in continua espansione, visto il numero di aziende europee e americane che ogni mese sbarcano nel mercato più grande del mondo.