Certamente l’abuso forse più evidente sono le campagne DEM, dove si acquistano liste di migliaia di nominativi vagamente profilati auspicando che sui grandi numeri qualcuno “abbocchi” all’esca lanciata.
Ma queste non sono newsletters: anche ammesso che vengano chiamate così, l’unica cosa che hanno in comune è il mezzo di invio, cioè l’email.
Affinché una newsletter sia degna di questo nome e non si configuri come anonima campagna DEM occorre almeno che:
• sia personalizzata
• sia rivolta ad un target veramente profilato
• il contenuto sia pertinente con il destinatario e che questi la possa virtualmente apprezzare
• il mittente sia una persona fisica esplicita
• vi sia un programma editoriale avente uno scopo.
Ricevo varie newsletters perché come tutti desidero essere informato sui temi inerenti – direttamente o indirettamente – la mia sfera professionale.
Ma ne leggo solo quattro-cinque (queste sono per me le newsletter buone) e di queste quattro ci tengo proprio a due. Motivo? Mi sono utili nello svolgimento della mia attività ovvero le uso per crescere ed esse mi fanno fare bella figura con i miei clienti.
Poi ci sono tutte le altre, alcune informative che consulto oziosamente e poi quelle odiose che cancello.
Circa le newsletter Wikipedia recita: “Una newsletter (in italiano “bollettino”) è un aggiornamento informativo periodico che un’azienda … invia a un determinato target .. come clienti …aggiornandoli sulle proprie attività.”
Allora quelle che interessano a me non sono newsletter: infatti se è vero che queste sono bollettini meramente informativi non ne sono interessato. D’altra parte non ci sarebbe nemmeno il tempo di essere informati su tutto.
Il problema non sono le newsletter che riceviamo, bensì quelle che inviamo.
Veniamo a noi: purtroppo gran parte delle aziende invia newsletter proprio per informare; niente di male se ci capiamo sul tipo di informazione che può interessare i destinatari delle nostre newsletter.
Naturalmente informare non è sbagliato, ma, se ci si limita a quello, la nostra newsletter non emerge dalle decine di informative che giornalmente popolano le caselle di posta. E che vengono dimenticate o cestinate.
Ecco che prima di intraprendere una campagna di newsletter “buone” dovremmo chiederci:
• che cosa desideriamo ottenere? Informare tanto per o incidere sulla realtà del destinatario?
• abbiamo argomenti sufficienti per sostenere la campagna nel tempo?
• diamo ogni volta informazioni di utilità - anche solo in modo indiretto - per i nostri destinatari? Mi riferisco ad informazioni che aiutano i destinatari nell’espletamento della loro attività.
• le inviamo per dire che ci siamo e basta, come avviene spesso sui social? Oppure desideriamo che si ricordino di noi?
• le inviamo solo per coccolarci (o disperarci) delle metriche?
“Una newsletter cambia la vita quando viene creata una cartella di posta per conservarla”
Ritengo che mandare newsletter buone sia difficile e richieda uno sforzo non comune: chi le approccia come una passeggiata farebbe meglio a mio avviso a postare sui social o mettere le “news” sul sito, in modo almeno da non essere invadente.
Altrimenti la newsletter diventa davvero un bollettino che ci lascia del tutto indifferenti e non ci cambia la vita.
Prima di scrivere una newsletter chiediamoci non solo se verrà letta ma se ha chances di essere conservata. Almeno proviamoci.