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E-tailer e distribuzione internazionale

3 luglio 2020
di lettura

Il retail sta moltiplicando i canali: la struttura distributiva si sta distribuendo tra store fisici ed online, ma in entrambe tali macro-categorie si ritrovano diverse declinazioni dei modelli e delle strutture di servizio al cliente.

Come nell’offline si stanno modificando le superfici, che prima dell’emergenza sanitaria si stavano restringendo a favore di una maggior centralizzazione del magazzino ed ora si stanno muovendo verso micro-aree di servizio specializzate per un miglior servizio al cliente, così nell’online si sta delineando uno schema in cui trovano posto l’e.shop, i marketplace, gli e.tailer in genere nonché l’entertainment ed i social.

L’opportunità dei marketplace e le regole correlate

I marketplace sono certamente una risorsa per l’azienda che intenda esportare, non soltanto perché permettono di accedere a piattaforme immediatamente operative per gli scambi, ma anche perché talora sono specializzati per singoli territori (come Allegro in Polonia) oppure per verticalizzazione settoriale (come Etsy per l’artigianato e gli oggetti fatti a mano) e consentono dunque di mirare l’investimento a seconda dei mercati-obiettivo e del posizionamento desiderato; tuttavia, va tenuto presente che diversi tra i marketplace più conosciuti hanno una minor caratterizzazione generale, sebbene al proprio interno siano organizzati come un department store con sezioni specializzate ad esempio nel made in Italy oppure nel design o altro.

Inoltre, alcuni presentano la possibilità di operare mediante success fee (oltre ad alcuni costi specifici e/o costi vivi) come ad esempio Bonanza o Qoo10, altri operano anche come grossisti come Kaola oppure ancora permettono il reindirizzo al sito di ecommerce aziendale come Real.de. Insomma, le “regole di ingaggio” sono diversificate esattamente come il panorama dei marketplace, in continua evoluzione e spesso con novità di interesse per il madeinitaly come Emerge, startup nel foodtech che promuove i prodotti italiani nel B2B.

Dunque, come scegliere? Occorre ricordare che questo è un canale distributivo e dunque va analizzato e definito quale parte del mix distributivo aziendale, definendo obiettivi di canale, KPI per valutarne l’efficacia, posizionamento e correlazione con altri canali per evitare sovrapposizioni e/o effetto di competizione interna ai canali.

L’azienda che ad esempio punta molto sul brand e/o sull’insegna deve valutare con molta attenzione l’inserimento di prodotti e cataloghi in strutture distributive (i marketplace sono questo) in cui sono affiancati a marchi di diverso posizionamento e rilevare se possono esservi sinergie con i restanti canali presidiati piuttosto che motivi di sovrapposizione. In qualche modo, è un po' come valutare se e come inserire il proprio brand ed i propri prodotti nella GDO e nella distribuzione organizzata, si pongono problemi di posizionamento e differenziazione.

I retailer che “si fanno” e-tailer e gli e-tailer che puntano all’omnichannel

In questa dinamica di trasformazione della struttura distributiva, vi sono poi brand che si posizionano in termini più focalizzati anche perché talvolta nascono come brand tradizionali e si rinnovano con il digitale. Tra i vari casi, nota la parabola di Neiman Marcus che pur essendo una insegna statunitense conosciuta e con una storia importante, con l’emergenza sanitaria ha visto i problemi precedenti trasformarsi in un impedimento insormontabile, mentre Macy’s e Nordstrom stanno reggendo.

Qual è dunque l’evoluzione del retail anche nel digitale? A fronte di marchi che vedono sommarsi problemi legati al sovradimensionamento ereditato dal passato in termini di metri quadri e di filiere/ marginalità con le nuove sfide di continua innovazione chiesta dal popolo del web, ve ne sono altri che sono o si fanno più flessibili nel gestire l’alternanza tra metri quadri fisici e bit online, come ad esempio Lin QingXuan, azienda cosmetica di Shangai che durante il lockdown ha chiuso il 40% degli store ma ha trasformato le commesse in influencer su WeChat, Ding Talk e Taobao, e le vendite sono arrivate al 200% rispetto ai mesi precedenti. Poi vi sono “campioni” della distribuzione innovativa online come Farfetch, e.tailer nel luxury fashion, che aggrega oltre 700 boutique indipendenti e circa 3.000 brand; nel primo trimestre 2020 ha quasi raddoppiato i ricavi.

Il punto vero è che store fisici ed online non devono mai entrare in concorrenza (dunque occorre evitare di replicare semplicemente il negozio online ma creare un canale di info-teinment) e si devono creare sinergie che portino ad una vero evoluzione del servizio al cliente, per cui sia bit che metri quadri divengano leve di gestione del contatto con il cliente e della relazione che serve a costruire informazione, fiducia e gioco inteso quale positività ma anche gaming e concorsi. Le persone vogliono star bene quando scelgono cosa comprare; basti pensare che in Asia il trend del momento (che fa vendere) è il live streaming, fatto anche di vere e proprie serie “simil-televisive” con star e beniamini per attrarre e fidelizzare la community intorno al brand.

Ci sono poi casi di estensione della funzione dell’e.tailer, quali l’apertura di punti vendita fisici per completare l’offerta distributiva; tra questi, Tmall ha aperto Home Times, negozio fisico dedicato alla casa, completando l’offerta in termini omnichannel.

Il mancato controllo su prezzi e posizionamento

Dunque, il panorama della distribuzione online potenzia e permette di differenziare la distribuzione tradizionale, ed offre piattaforme operative per nuovi mercati; dall’altro lato, però, in diversi casi non consente una chiara differenziazione dell’offerta e prevede regole che non premiano il posizionamento del brand anche in termini di prezzi.

Le aziende produttrici e le insegne che già hanno in essere una catena caratterizzata da innovazione ed elementi distintivi lamentano una difficoltà nel mantenere intatta l’immagine legata ai prodotti ed alla politica dei prezzi; in alcuni comparti, ad esempio nel fashion, abbiamo assistito alla scelta dei brand di concentrarsi unicamente sul proprio ecommerce, così come dobbiamo riconoscere che sono in corso azioni congiunte tra brand e marketplace per contrastare le contraffazioni.

La realtà è che ogni azienda deve valutare quali equilibri desidera porre in essere nei diversi mercati-obiettivo: se è vero che il ventaglio dei canali online è diversificato e non sempre focalizzato per i propri obiettivi, di fatto è la replica delle caratteristiche di altri canali multimarca sebbene l’online presenti maggiori evidenze in rapida evoluzione. Occorre partire dalla strategia: definire obiettivi nei diversi Paesi o macro-aree, individuare i target e valutare come raggiungerli alla luce dei canali esistenti e delle opzioni strategiche per costruire canali dedicati quale può essere una rete monomarca e/o un ecommerce dedicato al brand, naturalmente con gli investimenti del caso. E’ altresì sempre possibile definire un mix distributivo adeguato e monitorare e cambiare i canali nel tempo.

Va anche detto che vi sono inserzionisti e produttori/grossisti che stanno cercando di negoziare alcune regole con marketplace ed e.tailer, e nonostante le regole generali siano abbastanza rigide a fronte di determinati impegni e/o previsioni di volumi appare possibile negoziare in parte alcuni dettagli che possono favorire la presenza del brand e la fidelizzazione dello stesso da parte dell’e.tailer. Del resto, le piattaforme sono eco-sistemi di business e a loro volta debbono perseguire equilibri di lungo periodo e possono farlo solo con i propri clienti.

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