Export digitale e sostenibilità: dalla revisione della produzione alle “garanzie green”

Il concetto di sostenibilità si fa sempre più strada tra i consumatori e trova sempre più spazio sui media: impossibile ignorarlo, ma può essere complesso introdurlo in azienda; le imprese rischiano di “vestire” operazioni ordinarie come green mentre il mercato chiede trasparenza e reale incisività.

7 febbraio 2022

Il concetto di sostenibilità si fa sempre più strada tra i consumatori e trova sempre più spazio sui media: impossibile ignorarlo, ma può essere complesso introdurlo in azienda; le imprese rischiano di “vestire” operazioni ordinarie come green mentre il mercato chiede trasparenza e reale incisività.

La filiera export ha nuove armi per strutturare un modello più sostenibile, grazie alle piattaforme digitali ed alle risorse tech: dalla revisione dei processi di fornitura con riduzione delle emissioni, al trasferimento sulle piattaforme digitali (dai marketplace alle piattaforme collaborative di settore) di alcune attività di vendita, alla delega in loco di parte della produzione anche tramite il 4.0, sino all’utilizzo della blockchain per certificare i processi.

Modello di business: l’export digitale cambia il paradigma

Il digitale non ha portato solo innovazione tecnologica: ha portato soprattutto innovazione organizzativa e potenziale innovazione del modello di business; esattamente come le rivoluzioni industriali del passato, non si tratta solo di utilizzare la tecnologia, bensì di ripensare i processi, talora modificare anche il processo produttivo ed il processo distributivo.

Pensiamo quello che è successo alla ristorazione: qualche anno fa si escludeva con decisione che il digital potesse interessare il settore, poi è arrivato il delivery e poco dopo le dark kitchen e le ghost kitchen che hanno unito le piattaforme digitali con la cucina escludendo l’area di servizio; dunque, non si è trattato tanto di innovazione tech, quanto di un modello di business completamente ripensato. 

Molti settori sono interessati da questo fenomeno di revisione del modello di business (il retail sta diminuendo i metri quadri e potenziando il CRM e il magazzino centralizzato): l’export non sfugge a questa dinamica, basti pensare che i canali di promozione e di vendita digitale, oltre ai nuovi canali di distribuzione quali marketplace e vendor, stanno aprendo le porte dei mercati esteri anche alle PMI i cui budget non sarebbero stati adeguati in precedenza.

I nuovi canali rendono più efficienti i processi di ricerca di contatti e di attivazione delle negoziazioni commerciali, e permettono di gestire meglio alcuni processi di programmazione delle forniture e di spedizione; dunque, nei fatti si apre la possibilità per le imprese di controllare meglio le modalità di spedizione e la programmazione delle stesse, contribuendo così a migliorare l’impatto della logistica anche selezionando con attenzione le aziende di trasporto ed ottimizzando il packaging e l’imballo delle merci (il caso Ikea ha fatto scuola con l’impatto sulla filiera -e sui prezzi- dei suoi “pacchi piatti”). Alcuni marketplace offrono servizi di logistica a livello locale: è bene selezionare operatori e servizi con il minore impatto ambientale e valutare se é possibile configurare i processi di produzione e di spedizione in modo da differenziarsi per un minor livello di impatto; talora è sufficiente strutturare gli accordi di fornitura in modo da spedire in modalità full truck anziché parziale, oppure è possibile verificare l’opportunità di nuovi packaging. 

Sostenibilità: prodotti, packaging, processi produttivi e… finanziamento di start-up 

Il minore impatto ambientale della filiera logistica è la leva trasversale per una migliore sostenibilità delle operazioni di export; tuttavia, è possibile attivare leve a maggior impatto in termini di comunicazione e di competitività aziendale, quali la revisione dei prodotti (a partire dai materiali utilizzati, per arrivare alla durata media ed alla possibilità di una “seconda vita” del prodotto ed alle modalità di smaltimento), l’efficientamento della filiera di vendita (ad esempio, utilizzare le piattaforme digital di vendita e distribuzione e al contempo diminuire i chilometri percorsi dalla rete vendita -in aereo ed in auto- che in questo modo lavora online per le prime fasi di contatto e negoziazione, potendo concentrarsi su visite mirate ed un miglior servizio al cliente), lo studio di un packaging ottimizzato, la revisione del processo produttivo (ad esempio ricorrendo alla produzione 4.0 con l’utilizzo di stampanti 3D in loco, oppure impostando un processo che deleghi alcune fasi conclusive ad un partner locale se questo consente di diminuire l’impatto ambientale delle spedizioni -come avviene per alcune produzioni nell’edilizia-).

L’industry 4.0 senza dubbio è la nuova frontiera, quando si potrà operare su materiali e polimeri diversi dai pochi utilizzabili attualmente, certamente la possibilità di suddividere la progettazione e la produzione in continenti diversi permetterà livelli di sostenibilità delle filiere realmente disruptive rispetto ad oggi.

Un caso molto interessante è quello di Riso Gallo, che non soltanto ha scelto un nuovo tipo di imballo per il confezionamento sottovuoto del riso costituito da un materiale multistrato riciclabile, ma sta ripensando la filiera produttiva in termini di economia circolare; è la prima azienda ad adottare questo tipo di imballo ed al momento lo utilizza in particolare per referenze commercializzate prevalentemente all’estero (esporta in 85 Paesi). Ma l’azienda lomellina non si ferma qui: è entrata nel capitale di una start-up che produce materiali per l’edilizia pienamente sostenibili, che vengono prodotti tra l’altro con gli scarti della lavorazione del riso.  

La blockchain quale strumento al servizio delle “garanzie green”

Il mercato richiede trasparenza e certezza degli effetti a favore dell’ambiente, dunque le aziende sono chiamate non soltanto a creare leve di diminuzione dell’impatto ambientale ma anche a certificarne gli effetti.

L’export digitale in questo senso ha un’arma in più: dà la possibilità di tracciare i processi (produttivi, distributivi, per alcuni settori anche legati alla successiva vita del prodotto e suo smaltimento) e certificarli mediante blockchain; gli accordi di filiera possono essere inseriti in un registro telematico che rende certe le operazioni e che traccia anche il livello di impatto ambientale. Se revisioniamo il packaging e i processi logistici, possiamo pensare di tracciare le diverse fasi e rendere certa la maggiore sostenibilità degli stessi; se ripensiamo il processo produttivo e deleghiamo le fasi finali in loco, possiamo certificare il livello di ottimizzazione e il livello di sostenibilità raggiunto; e così via, nei diversi processi aziendali possiamo tracciare e quindi certificare quelle che possiamo chiamare “garanzie green” per il consumatore finale (ma anche per il buyer e/o il distributore che deve rispondere ad un mercato sempre più selettivo in termini di prodotti sostenibili).

In sostanza, le aziende che investono nella sostenibilità grazie al digitale hanno l’opportunità di rendere evidenti e credibili le azioni poste in essere e l’effetto ai fini ambientali; è possibile, tra l’altro, definire accordi di filiera che uniscono gli investimenti e la riorganizzazione di diversi attori del mercato e che quindi rendono più performanti le iniziative di sostenibilità oltre ad essere una leva per crearle e/o potenziarle. 

Jaguar Land Rover, ad esempio, sta ripensando i prodotti in chiave sostenibile anche per le finiture, tra cui gli interni che oggi vengono proposti in chiave sostenibile e costituiti (anche) da materiali riciclati: la catena di approvvigionamento della pelle è tracciata tramite GPS, biometria e codici QR, il tutto tracciato su blockchain mediante il metodo dei digital twin (gemello digitale), in modo da permettere ai clienti una scelta responsabile quando acquistano la propria auto.

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