Le (nuove) competenze del digital export

Con l’introduzione di strumenti digitali sempre più sofisticati, le aziende b2b e b2c sono chiamate a riconsiderare anche il proprio approccio strategico ai mercati internazionali, a partire dalle risorse umane coinvolte nel settore del marketing e delle vendite.

24 novembre 2021

Con l’introduzione di strumenti digitali sempre più sofisticati, le aziende b2b e b2c sono chiamate a riconsiderare anche il proprio approccio strategico ai mercati internazionali, a partire dalle risorse umane coinvolte nel settore del marketing e delle vendite.

A tale riguardo, la pandemia di Covid-19 ha dato una notevole spinta verso la digitalizzazione dell’export, sostenuta peraltro anche da un decreto del Ministero Affari Esteri, che in agosto 2020 bandiva contributi a fondo perduto per le aziende intenzionate a sviluppare progetti di digital export mediante consulenza di Temporary Export Manager con competenze digitali.

L’iniziativa è stata rinnovata anche quest’anno e di fatto assume un particolare rilievo soprattutto se leggiamo i dati 2020 offerti da Osservatori.net sull’export digitale. Per quanto concerne i beni di consumo, l’anno scorso il digital export ha raggiunto un giro d’affari di 13,5 miliardi di euro, segnando un +14% rispetto al 2019, mentre il b2b si è attestato sui 127 miliardi, coprendo il 29% delle esportazioni complessive. In questo panorama, dunque, si comprende come mai stia assumendo sempre più rilievo la figura del cosiddetto Digital Export Manager (DEM) che, associate anche ad altre professionalità che vedremo qui sotto, può giocare un ruolo chiave nel posizionamento digitale dell’azienda sui mercati internazionali.

Il Digital Export Manager

Quando parliamo delle peculiarità e competenze che un DEM deve avere, bisogna anzitutto sottolineare che, rispetto a un Export Manager tradizionale, il DEM si concentra segnatamente sulle strategie di export partendo dal fronte digitale dell’azienda. Cura ed eventualmente potenzia la presenza online del brand, nonché seleziona all’occorrenza le piattaforme di terze parti più adatte alla vendita del prodotto o servizio offerto.
Entrando più nel dettaglio, il DEM è una persona formata a:

  • Posizionare correttamente l’azienda sul mercato digitale strutturando un’adeguata presenza online (sito web etc.).
  • Gestire efficacemente i profili social aziendali (Facebook, LinkedIn, Instagram etc.), scegliendo le piattaforme più efficaci, individuando e curando l’inserimento di contenuti di qualità.
  • Valutare quali sono i marketplace di e-commerce (sia b2b che b2c) più performanti rispetto al prodotto o servizio offerto e gestire le attività dell’azienda per quanto concerne vendite, promozioni etc.
  • Utilizzare strumenti e strategie di web marketing per aprire in via digitale nuovi mercati e/o consolidare i mercati su cui l’azienda è già presente.
  • Offrire orientamento specifico sugli strumenti digitali per la presentazione, la condivisione e l’interazione delle informazioni che l’azienda desidera veicolare (non solo PowerPoint, ma anche video e audio editing, strumenti di videoconferenza etc.).

Data la velocità con cui le innovazioni digitali si susseguono, un’azienda che decida di rivolgersi a un DEM dovrà accertarsi che il professionista non solo sia opportunamente formato nelle competenze richieste, ma abbia la capacità di tenersi continuamente aggiornato sugli ultimi trend e nuovi strumenti. In questo settore, infatti, la rapidità di formulazione o variazione delle strategie basate sulla valutazione e adozione di nuovi dispositivi o piattaforme può fare la differenza tra ottenere prima degli altri un vantaggio competitivo sui mercati di riferimento oppure no.

Dati, Intelligenza Artificiale, automazione e “phygital”

L’operato di un DEM può beneficiare molto dalla collaborazione con altre figure di rilievo in ambito digital export, come i professionisti che si occupano nello specifico di gestire, sviluppare e/o interpretare in modo significativo aspetti per così dire più “tecnici”. Vediamo a tale riguardo anzitutto le competenze legate a raccogliere, selezionare e aggregare dati. Sempre più aziende, infatti, adottano un approccio “data driven”, la qual cosa spinge anche le altre aziende verso questo criterio al fine di preservare la propria competitività. Ciò mette sotto i riflettori principalmente due professioni:

Data scientist

Sa gestire i cosiddetti big data e ricavare informazioni rilevanti. È una figura che tiene assieme conoscenze di mercati e settori di business specifici, linguaggi di programmazione, Machine Learning etc. Benché avere in organico un data scientist non sia praticabile o conveniente per tutte le aziende, il lavoro che queste persone svolgono sui Big Data resta sullo sfondo di ogni buona strategia di export digitale poiché restituisce scenari approfonditi sulla base di dati complessi, aggregati in modo significativo.

Data analyst

Questo professionista generalmente prende in esame i risultati del lavoro del data scientist, analizzandoli e interpretandoli attraverso dei software specifici, al fine di produrre report che mirano a fornire all’azienda orientamenti utili all’attività decisionale. È dunque una figura in grado di gestire modelli statistici, database relazionali, strumenti di visualizzazione etc. In sostanza, il data analyst rende i dati raccolti “leggibili” per i manager aziendali secondo dei parametri ad hoc, la qual cosa permette di aumentare la consapevolezza decisionale in ambito di sviluppo digitale ed export.

Oltre ai Big Data, anche l’Intelligenza Artificiale (IA) e il Machine Learning stanno modificando in modo sostanziale l’approccio all’export. Infatti, non solo queste tecnologie consentono di automatizzare diverse fasi e processi legati all’attività di lead generation, marketing, vendita e logistica, ma permettono anche di migliorare costantemente la reattività dell’azienda ai cambiamenti di mercato. Un brand che voglia essere all’avanguardia nel proprio approccio al digital export può quindi considerare di ricorrere a una delle seguenti figure professionali:

Esperto di IA

Vi sono già sul mercato prodotti basati su IA, in grado di leggere le esigenze dei clienti o partner commerciali, selezionarle e targettizzarle in base agli interessi dell’azienda (vendita, lead generation etc.).

Tuttavia, brand più strutturati e complessi potrebbero sentire la necessità di sviluppare sistemi di IA proprietari, di modo da avere a disposizione un prodotto già perfettamente su misura (anziché una versione standard customizzabile), che renda più efficaci la penetrazione di nuovi mercati, le correlate azioni di marketing e la gestione delle relazioni con i clienti (CRM).

Esperto di sistemi integrati di automazione

Prendiamo ad esempio l’Intelligent Process Automation (IPA), che è una soluzione sofisticata di automazione di processi aziendali complessi. Un esperto in questo settore è in grado di tarare l’utilizzo di strumenti di IPA per velocizzare e rendere autonomi più ambiti coinvolti nel digital export, come l’assistenza virtuale ai clienti, la gestione dell’inventario e l’analisi in chiave predittiva delle informazioni ricavate dal web (conversazioni sui social, reattività alle offerte etc.). Un’azienda che sappia automatizzare il più possibile il proprio approccio all’export guadagna un vantaggio in termini di risorse/tempo, che possono pertanto essere ridestinate allo studio e sviluppo di ulteriori strategie innovative e all’avanguardia.

Non bisogna poi scordare che, anche se si parla di digital export, i prodotti interessati all’esportazione restano per lo più fisici. In taluni casi può essere dunque indispensabile adottare un approccio cosiddetto “phygital”, ossia ibrido fisico-digitale. Su questo fronte l’azienda stessa può formare internamente delle professionalità specifiche, le possiamo chiamare Phygital Manager, che hanno il compito di cercare modalità di “contaminazione” tra offline e online in chiave marketing ed esperienza d’acquisto.

Phygital Manager

Per fare solo un paio di esempi di obiettivi generali che un Phygital Manager può fissare relativamente all’export:

  • Rendere più immersiva l’esperienza digitale d’acquisto, opportunamente simulando online le dinamiche tipiche del mondo fisico (sale riunioni digitali, realtà aumentata e realtà virtuale per provare digitalmente i prodotti, impiego di ologrammi etc.).
  • Dotare gli spazi fisici di tecnologia digitale che favorisca l’interazione multicanale e il coinvolgimento del cliente (totem digitale in negozio per personalizzare i prodotti, soluzioni di gamification legate al prodotto fisico attraverso smartphone etc.).

Ne risulta che il Phygital Manager non deve solamente avere dimestichezza con strumenti tecnologici e spazi virtuali, ma sarà tanto più efficace quanto più saprà maturare competenze anche nell’ambito delle scienze sociali e della psicologia applicata all’infosfera.

Futuro

Per finire, è utile ricordare due professionalità apparentemente marginali per il digital export, ma che in realtà possono essere all’occorrenza sfruttate come efficaci affiancamenti in azienda per ricavare visioni di ampio respiro e prospettive affidabili sul medio e lungo termine:

Futurist

È un esperto di previsione sociale e anticipazione di possibili trend futuri. Oltre alle applicazioni nel campo della politica e delle scienze sociali, alcuni centri di studio ed esperti di future studies offrono vere e proprie consulenze manageriali. Ricorrendo ad analisi statistiche e software per la generazione di ipotesi predittive, orientano le aziende nella comprensione dei trend futuri, locali e globali. Affidarsi a un futurist permette di sviluppare una buona visibilità sulle potenzialità dei mercati d’interesse, il che consente di anticipare azioni mirate sia nel senso dell’apertura di nuovi canali di vendita, sia del consolidamento di posizioni già conquistate.

Chief Philosophy Officer (CPO)

È una figura introdotta qualche anno fa da Google. Un CPO generalmente è un esperto attuatore della cosiddetta filosofia pratica, approccio che consente di ampliare la visione della realtà al fine di affrontare i problemi secondo angolazioni diverse e riformulazioni di domande chiave. Queste stesse capacità possono risultare utili anche nell’ambito del digital export.

Ad esempio, interrogarsi in maniera alternativa sui problemi tipici del settore al fine di trovare soluzioni altrettanto alternative, oppure stimolare domande che consentano di riconsiderare l’impiego attuale del digitale in modo diverso e innovativo sono solo alcuni dei possibili obiettivi di un CPO in azienda, che può dunque lavorare di concerto con il DEM, gli esperti di dati e i professionisti dell’automazione.
 

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