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Tassazioni e fiscalità per la vendita BtoC nell’Unione Europea

23 dicembre 2019
di lettura

Il commercio elettronico indiretto, cioè con la vendita e spedizione di beni fisici, prevede una specifica normativa in materia di IVA per le transazioni BtoC all’interno dell’Unione Europea.

La Direttiva 2006/112/CE fissa la regola generale in base alla quale, nel caso di cessioni di beni spediti dall’Italia ad altro Paese UE, l’operazione si considera effettuata nel Paese di partenza, ma occorre ulteriormente distinguere a seconda dell’ammontare dei corrispettivi dei beni venduti, nel corso di un anno solare, nel singolo Paese membro considerato, perché sino a una determinata soglia (variabile a seconda del Paese UE di destinazione, con tabella consultabile sul sito della Commissione Europea), l’operazione si considera effettuata nel Paese di partenza e si applica l’Iva del Paese di partenza, oltre tale soglia l’operazione si considera effettuata nel Paese di arrivo e occorre applicare l’Iva del Paese di arrivo.

Nel caso in cui l’ammontare complessivo delle vendite a distanza effettuate in ciascun Stato membro abbia superato nell’anno precedente, o superi nell’anno in corso, il limite di 100.000 euro (o l’eventuale minor importo stabilito nello Stato membro di destinazione, quale risulta dalla tabella linkata), la società italiana deve aprire una posizione Iva in tale ultimo Stato membro (con identificazione diretta, oppure, laddove consentito, a mezzo di rappresentante fiscale) e, tramite tale posizione, sulle cessioni deve addebitare l’Iva locale.

Ai fini della posizione Iva italiana, l’impresa cedente deve operare come segue:

  • adottare una numerazione distinta delle fatture attive per singolo Paese di destinazione dei beni
  • emettere un unico documento (fattura attiva) valido sia ai fini italiani che ai fini del Paese di destinazione dei beni
  • strutturare l’addebito del corrispettivo distinguendo le singole componenti dell’addebito (corrispettivo non imponibile art. 41, c. 1, lett. b, del DL 331/1993; ammontare dell’Iva del Paese estero, fuori campo Iva italiana)
  • presentare il modello Intra-1bis, sia agli effetti fiscali che a quelli statistici, in relazione al periodo nel corso del quale le operazioni risultano registrate o soggette a registrazione ai sensi dell’art. 23 del Dpr 633/1972, senza compilare la colonna 3 (codice Iva acquirente).

Ai fini della posizione Iva del singolo Paese estero di destinazione dei beni, in base a quanto sopra indicato, l’impresa italiana deve trasmettere (anche con mezzi informatici) al gestore della posizione Iva locale, copia delle fatture emesse nei confronti degli acquirenti finali, incaricandolo di espletare gli adempimenti Iva nel Paese di sua residenza, ovvero:

  • annotare tali fatture sul registro delle fatture emesse
  • liquidare e versare l’Iva
  • presentare le dichiarazioni Iva (periodiche, ove previste, e annuali - adempimenti Intrastat)
  • espletare eventuali ulteriori adempimenti previsti ai fini dell’Iva nel Paese considerato

Nel caso in cui l’ammontare delle cessioni effettuate risulti inferiore al limite stabilito nel Paese UE di destinazione, il cedente è tenuto ad applicare l’Iva italiana, salvo specifica opzione per l’applicazione dell’Iva del Paese di destinazione.

Riguardo agli adempimenti Intrastat, la Circolare 13 del 23 febbraio 1994 dell’Agenzia delle Entrate, punto B-2.1, afferma che:

“Si ritiene opportuno precisare che, per quanto concerne gli obblighi di compilazione degli elenchi riepilogativi delle cessioni intracomunitarie, poiché l’art. 41, c. 1, lettera b […] le qualifica come cessioni intracomunitarie, le medesime operazioni devono essere comprese nell’elenco riepilogativo INTRA-1bis, sia agli effetti fiscali che a quelli statistici, relativo al periodo nel corso del quale le operazioni risultano registrate o soggette a registrazione a norma dell’articolo 23 del D.P.R. n. 633 del 1972, con l’avvertenza che la colonna 3 (codice Iva acquirente) va compilata ogni qual volta l’acquirente comunitario dei beni …. in altro Stato membro risulta essere un soggetto identificato ai fini IVA nel proprio Paese”.

Nel caso di reso di merce, ossia nel caso in cui il consumatore finale, una volta visionati i beni, receda dal contratto e restituisca gli stessi all’impresa italiana, a spese di quest’ultima, salvo diversa previsione contrattuale, questa dovrà provvedere a curare il rientro dei beni in Italia.

In tale evenienza l’impresa italiana ha la facoltà di emettere nota credito non imponibile art. 41, c. 1, lett. b, del DL 331/1993, a storno della fattura previamente emessa e presentare il Modello Intra-1ter, ai fini fiscali e statistici oppure limitarsi a gestire il reso in contabilità generale (e in contabilità di magazzino).

In tale ultima evenienza l’impresa italiana deve comunque provvedere a presentare il Modello Intra-1ter ai soli fini statistici con l’indicazione della relativa causale e a rettificare in diminuzione l’ammontare del plafond per il periodo d’imposta successivo. Riguardo all’Iva addebitata al cliente estero, è possibile operare il recupero mediante la posizione Iva estera.

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