Perché fare e-commerce in Cina
L’e-commerce è un settore ancora in grande espansione. La tendenza alla crescita delle vendite online mondiali è confermata anche per i prossimi anni, con una crescita media annua che si aggira intorno al 26%. Dei circa 2,14 miliardi di compratori online nel mondo, oltre 600 milioni sono cinesi. Con il lockdown sono cambiate le caratteristiche demografiche dei consumatori cinesi. Prima della crisi, infatti, erano soprattutto i giovani nelle grandi città ad acquistare online, in molti casi altospendenti, interessati all’acquisto di prodotti originali di marca e attratti dai brand made in Italy. A causa della paura di recarsi in luoghi chiusi e affollati, anche gli abitanti più anziani nelle zone rurali hanno cominciato ad acquistare online. La Cina risulta quindi l’area geografica con le maggiori prospettive di crescita percentuale per l’export italiano, seguita da USA e poi da EU.
Nel 2019, il 78% della popolazione cinese ha effettuato almeno un acquisto online e il 64% per il suo acquisto ha usato la rete mobile. Il totale dei beni di consumo acquistati ha un valore totale di circa 867,6 miliardi di dollari. La categoria più comprata online è la moda (+19% versus 2018), seguita dall’elettronica di consumo (+19%) e dai prodotti alimentari (+14%) (Dati We are Social, Gennaio 2020).
A fine 2019, le vendite online sono state circa il 27% del totale retail (Forbes). In base ai dati Eurostat, nel 2019 l’export dell’Italia verso la Cina è stato di 13 miliardi di Euro totali.
Cross-border e-commerce in Cina
Nel 2012, vede la nascita un modello e-commerce transfrontaliero con un progetto pilota in 7 città cinesi, tra cui Shanghai e Hangzhou. Fortemente incoraggiato e sostenuto dal governo cinese, all’inizio del 2016, il progetto viene lanciato in altre tre città. Il 17 marzo 2017, il Ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese, con una Circolare estende il progetto iniziale a 15 città: Hangzhou, Tianjin, Shanghai, Chongqing, Hefei, Zhengzhou, Guangzhou, Chengdu, Dalian, Ningbo, Qingdao, Shenzhen, Suzhou, Fuzhou e Pingtan.
Attraverso il cross-border e-commerce, si possono vendere in Cina prodotti stranieri senza dover affrontare la lunga e complessa procedura di autorizzazione presso le competenti autorità locali, obbligatoria invece per l’esportazione è la vendita attraverso i canali tradizionali. Con il cross-border e-commerce il modello operativo si semplifica e per l’impresa italiana non è più necessario avere un importatore/distributore cinese, per vendere ai consumatori di quel Paese, anche se rimane comunque fondamentale avere un partner operativo in loco.
La politica fiscale/doganale per l’e-commerce B2C transfrontaliero in vigore dall’8 aprile 2016 e aggiornata a fine 2018, consente di applicare un’aliquota di dazio nulla se il valore dei beni acquistati è inferiore a 5000 yuan (circa 650 euro) per singolo ordine, e se il totale degli ordini effettuati da un singolo utente in un anno è inferiore a 26.000 yuan (circa 3300 euro). Saranno invece dovute l’IVA sulle importazioni e le accise, denominate in Cina “imposta di consumo”, per un valore pari al 70% delle aliquote ordinarie. Anche la franchigia doganale è stata abolita.
Con il cross-border e-commerce, nel 2018 almeno 120 milioni di cinesi hanno acquistato beni d’importazione online. Le due principali piattaforme online autorizzate su cui i cinesi acquistano prodotti stranieri, sono Tmall Global e JD Worldwide, ma esistono decine e decine di marketplace minori che propongono prodotti di importazione, per cercare di soddisfare una domanda in continua crescita.
Nel caso di utilizzo di un marketplace cinese, con vendite in modalità cross-border, saranno necessari però almeno due-tre mesi di tempo per avviare una collaborazione con un partner che si occupi delle attività di marketing e dei contenuti in lingua.
Ma spieghiamo brevemente come funziona: il consumatore cinese fa un ordine su una piattaforma e-commerce autorizzata, ad esempio i già citati Tmall Global o JD Worldwide. Sono piattaforme autorizzate per vendere ai consumatori cinesi prodotti non cinesi, che non sono fisicamente presenti in Cina.
La piattaforma riceve l’ordine e lo trasmette al venditore all’estero che, a quel punto, spedisce il prodotto comprato. Il prodotto può essere stoccato in un magazzino in Italia o in Europa, quindi fuori dalla Cina, oppure può trovarsi in una free trade zone cinese, quindi fisicamente in Cina ma fiscalmente fuori dalla Cina, in una zona franco dogana, oppure ancora ad Hong Kong, che essendo zona economica speciale, viene considerata non in Cina dal punto di vista fiscale.
Il prodotto acquistato parte dal magazzino e, tramite un operatore locale cinese, che non è un importatore distributore ma solo un corriere che segue l’evasione dell’ordine, passa la dogana con una procedura speciale per il cross border, e arriva al consumatore finale.
I prodotti che si vendono in questo modo possono non essere registrati in Cina, e quindi il cross border diventa una sorta di test di mercato per capire quali sono i prodotti che possono incontrare il gusto dei consumatori cinesi e su quelli concentrare i propri investimenti in vista di una registrazione per venderli successivamente anche attraverso i canali tradizionali.